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Commenti

  • Paola Biasin ha scritto Altro
    Essere genitori e non amarsi: difficile!... Domenica, 14 Giugno 2015
  • Emanuela ha scritto Altro
    Siamo messi male
    Oh come mi... Venerdì, 05 Dicembre 2014
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    Perchè stupirci?
    E' un problema quello... Domenica, 24 Novembre 2013
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    Neppure la giornata sui diritti... Sabato, 23 Novembre 2013
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    Chi è Educatore ha espresso... Sabato, 23 Novembre 2013
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    Ragazze Invisibili
    Una brutta,... Mercoledì, 20 Novembre 2013
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    Nel film "Il ladro di... Lunedì, 18 Novembre 2013
La storia
Nicolò, un bimbetto di tre anni estroverso ed assai loquace, è appena rientrato a casa dalla scuola materna. Alcuni segni di pennarello nero sotto il naso, evidentemente i resti di un paio di baffi, sono le tracce che testimoniano la sua intensa giornata... lavorativa, ma sono soprattutto i simboli che sanciscono in famiglia il suo ruolo di attore in una recita che sta preparando a scuola. La madre tenta di toglierli con dei colpi di spugna imbevuta d'acqua e sapone, ma...
Nicolò, ancora immerso nella sua parte di attore, cerca di fermarla: "Lasciali pure lì -la esorta con enfasi- così domani sono già pronto per le prove della recita. Basta solo che mi prenda il fucile per diventare il cacciatore che uccide il lupo cattivo. E' stata suor Gemma a dirmi che il cacciatore ha i baffi e a disegnarmeli!".
"Domani è Sabato -gli ricorda la madre- e non si va all'asilo. Poi c'è la Domenica che è giorno di festa. A scuola si ritorna Lunedì. Non vorrai stare due giorni con quegli orribili segni neri sotto il naso!".
"Ma domani dobbiamo fare le prove -le ribatte contrariato il bambino- ed io domani voglio andare a scuola, anche se è Sabato!".
La donna cerca di porre fine alla sceneggiata mettendo in campo l'indiscutibile realtà che l'asilo, di Sabato, è chiuso! Ed invece la fomenta perché si ritrova ad affrontare l'aggressività di Nicolò che, pestando i piedi ed urlando la minaccia così: "Io i baffi non me li tolgo e domani mattina vado all'asilo!".
La madre, esaurita tutta la sua pazienza e disponibilità, raccoglie le ultime energie che le sono rimaste, afferra Nicolò e, mentre con alcuni colpi di spugna ben assestati lo libera dai baffi, pensa ad alta voce: "Certe situazioni si risolvono solamente con le maniere forti!".
Il pianto accorato e disperato del figlio le comunica però che la scenata non è terminata. La signora infatti cerca di rimanere indifferente di fronte all'angoscia del bambino, ma le lacrime di Nicolò la costringono ad andare indietro nel tempo e a rivivere un altro pianto, altrettanto accorato e disperato, del figlio. Ricorda:
"E' un Lunedì mattina di alcuni mesi fa. Sto preparando Nicolò per portarlo all'asilo. Il bambino è in lacrime, ma non parla. Mi sembra angosciato... Sono preoccupata. Gli misuro la febbre: 36 e 4. Perfetta! Ma non mi sento rassicurata. Allora gli chiedo: -Cos'hai? Perché sei così taciturno? Parla invece di piangere! Non starai mica covando qualche malanno?-. E mio figlio mi risponde con una richiesta che sembra provenire da un altro mondo tanto mi pare assurda:- Mamma, che giorno è oggi?-. La vivo come una presa in giro e mi viene da sculacciarlo! Nonostante il mio nervosismo però, cerco di essere paziente e gli spiego: -Oggi è Lunedì, il primo giorno della settimana.
-E dopo il Lunedì si sta a casa da scuola, non è vero?- continua Nicolò.
-No, deve arrivare il Sabato per poter stare a casa! Gli rispondo persuasiva.
-E quanti giorni devo andare a scuola perché il Sabato diventi Domani?-. Insiste il bimbo.
Cerco di fargli capire che devono passare anche il Martedì, il Mercoledì, il Giovedì ed il Venerdì!-.
Nicolò rimane interdetto e confuso. Riflette per un attimo e poi mi rivolge quest'altra domanda: -Mamma, perché non hai messo il Sabato vicino al Lunedì?-.
Ma non mi lascia il tempo di rispondergli poiché mi accusa: "Sono sicuro che è perché da piccola non sei mai stata all'asilo dalle suore!-.
E' un'imputazione che respingo immediatamente ma che, come un boomerang, mi ritorna addosso attraverso il ricordo delle difese messe in atto dal bambino per non andare all'asilo.
Ri-vivo infatti il mutismo di Nicolò che per giorni e giorni mi ignora e non mi parla.
Ri-sento lo sguardo implorante con il quale il bambino mi accompagna fino al portone, dopo che l'ho abbandonato nelle mani della suora, ed i sensi di colpa che i suoi occhi pieni di pianto mi trasmettono.
Ri-trovo il rifiuto di Nicolò di salutarmi e di baciarmi prima che me ne vada via.
Ri-provo la delusione e la rabbia che il bimbo mi trasmette quando riprende a farsi la pipì addosso di giorno e di notte e le preoccupazioni e le paure che mi fa sentire con i suoi continui ed improvvisi malesseri, anche se durano quasi sempre, e non è un caso, lo spazio di una mattinata.
Ri-evoco il dolore che mi procura la sua aggressività quando per strada mi scalcia e mi strattona perché non vuole che lo lasci all'asilo.
Sono sofferenze insopportabili che mi fanno morire dentro.
Mi trovo quindi costretta a recuperare l'amore del mio bambino per poter sopravvivere. Ma non trovo nessun'altra alternativa se non quella di cedere alle sue richieste. Una mattina infatti, dopo averlo accompagnato all'asilo, non resisto al suo pianto e ..gli rimetto il capottino e lo porta a casa dei nonni. Durante il tragitto, Nicolò, forte della sua vittoria, coglie la mia tristezza e la mia delusione perché tenta di consolarmi affermando: -Mamma, voglio che tu sappia che a me piace tanto andare all'asilo, però... - e si ferma, incerto. -Però cosa?- gli chiedo, curiosa. -Però dovrebbero farlo a casa del nonno Gino e della nonna Olga!- mi dice sorridendo.
E sorrido anch'io".

L'indagine
Ogni mamma si trova, prima o poi, a doversi staccare un po' alla volta dal suo bambino. Ed ogni bimbo resiste e si oppone a questo distacco poiché gli arreca dolore, sofferenza e paura. Per il piccolo, infatti, stare lontano dai suoi genitori significa perderli di vista e temere di non vederli ricomparire mai più. Egli allora, seppure rassicurato dalle dolci parole di mamma o convinto dalle perentorie esortazioni di papà, vive con trepidazione ed ansia ogni allontanamento e cerca o di rinviarlo o di escogitare modalità per evitarlo nel tentativo di riportare i genitori vicino a sé. Essere lontano da mamma e papà, per il figlio, vuole infatti dire non potersi rifornire a piacimento di quel loro amore rassicurante, di quella loro tenerezza inebriante, di quel loro calore vivificante che lo riempiono di piacere e di soddisfazione.
I genitori possono quindi domandarsi: -Questo rifornimento lo abbiamo proprio effettuato?-, ma anche: -E' bastato al bambino per sentirsi rassicurato?-.
Se la loro riposta è affermativa possono anche interrompere, a tratti però, il flusso.
Se invece si trovano di fronte ad un figlio in difficoltà a superare situazioni che per lui sono particolarmente impegnative devono continuare a rifornirlo di affetto, di attenzioni, di cure e di vicinanza.
Durante questi periodi difficili, infatti, il bambino ritorna a chiedere a madre e padre maggiori attenzioni per riprendersi quella dedizione senza limiti che i genitori gli offrivano quando era più piccolo per rassicurarlo e farlo stare bene.
Questo -tornare indietro- del figlio però se è passeggero è espressione della temporanea fatica che il bambino deve sopportare per poter staccarsi, se è invece continuativo rappresenta la sua incapacità a stare lontano dai genitori.
Le madri ed i padri sono consapevoli che il figlio impara a divenire sempre più autonomo, a custodire cioè l'affetto ricevuto, a rievocarlo o ad attenderlo con fiducia, via via che si allontana da loro ed è per questo che -combattono- con il bambino perché rinunci, almeno momentaneamente, alla loro presenza. E' una battaglia continua, a volte aperta e a volte sotterranea, che vede mamme e papà impegnati con promesse di compensi oppure con minacce di castighi a convincere il bimbo a staccarsi. Sono momenti difficili sia per il figlio che per i genitori. Il bambino lotta con i suoi capricci per rimanere attaccato a mamma e papà, i genitori lottano invece per non sentirsi colpevoli dell'infelicità che procurano al figlio se lo lasciano da solo.
La necessità dei genitori di lasciare un po' di spazio al bimbo si scontra dunque con il loro bisogno di vedere il figlio felice e sereno.
Il desiderio delle madri e dei padri di aiutare il bimbo a diventare autonomo cozza inevitabilmente con il piacere di sentire invece che -non può vivere- senza di loro.
Sono ambivalenze che confondono e che rendono insicuri genitori e figli.
Ma è proprio partendo da queste loro ambiguità, da questi loro conflitti che madri e padri possono iniziare a chiedersi: "Quanta gioia e quanta soddisfazione ci trasmette nostro figlio quando con i suoi capricci e le sue sceneggiate ci mostra l'immane bisogno che ha di noi?" Ed è appunto indagando su questo loro -sentire- che i genitori possono scoprire quanto siano essi stessi, e non il figlio, ad essere incapaci di rinunciare al piacere di stare attaccati l'uno all'altro!

La scoperta
I genitori, per sentirsi gratificati come madri e come padri, hanno spesso bisogno di un bambino bisognoso di loro. E' dunque sulla velata o palese paura di perdere il piacere dell'amore esclusivo del figlio che madri e padri possono soffermarsi a ricercare e a riflettere.
Madri e padri possono così scoprire se sono essi stessi a non saper far fronte al distacco che il figlio cerca, tanto da costringerlo ad opporsi, a disubbidire, ad attaccarli per poterlo sperimentare o se è invece il figlio, attraverso i suoi rifiuti ed i suoi capricci, a mettere alla prova il loro desiderio di tenerlo accanto a se stessi.
I genitori arrivano in questo modo a comprendere che spesso è proprio questo loro terrore di perdere l'affetto e la considerazione del figlio che li condiziona a tal punto da trasmettergli un sentimento ambivalente quando si staccano da lui. Ed è su questa ambiguità delle madri e dei padri che il bambino innesta poi la sua paura di allontanarsi da ciò che ama.
Le mamme ed i papà insicuri, che considerano cioè il distacco del figlio o dal figlio come manifestazione di cattiveria e di rifiuto, non solo lasciano credere al bimbo che lo stare lontani fisicamente o emotivamente è comunque un segnale di diniego, di abbandono, di poca considerazione, ma anche lo costringono a lottare contro ogni separazione sia per non pensare di avere genitori cattivi che lo rifiutano sia per non pensarsi egli stesso un bambino cattivo che li rifiuta.
E' una situazione che, se dapprima è tutta intessuta sulla relazione del figlio con mamma e papà, può in seguito innestarsi in ogni distacco che il bambino si troverà a vivere come quando, ad esempio, dovrà separarsi da un gioco amato, da un amico ambito, da un passatempo piacevole, da una compagnia divertente, da un riconoscimento importante, da una scuola conosciuta, da un insegnante prediletto.
Sono rinunce, perdite, privazioni, abbandoni, distacchi che il figlio faticherà ad accettare e a vivere.

Il suggerimento
Il tragitto che porta i bambini a saper sopportare la distanza tra sé e l'altro inizia dai primi momenti della vita del bambino.
La mamma che non offre immediatamente il seno al neonato che vagisce e lo fa aspettare per alcuni minuti, aiuta il suo bebè a non temere di morire se ella non arriva subito.
Un papà che non accorre al primo richiamo del suo il bimbetto e lo lascia nel lettino per un altro po' di tempo gli permette di sentire che è capace di farsi compagnia da solo.
Un genitore che saluta sereno il piccino prima di uscire di casa per andare al lavoro, lo rassicura che non sta succedendo nulla di grave.
Un marito che invita la moglie ad uscire una sera lasciando il bimbo dalla nonna insegna al figlio che i genitori hanno degli spazi dove egli è escluso.
Una moglie che guarda la TV seduta accanto al marito e declina momentaneamente l'invito del figlio di andare a sedersi sul tappeto vicino a lui, lo allena ad accettare che la mamma è anche del papà.
Queste azioni dei genitori, se sono accompagnate da sentimenti orientati più al piacere di veder crescere il figlio che al dispiacere di non essere per sempre un tutt'uno con lui, portano il bambino a saper affrontare con sicurezza le prime separazioni.


In collaborazione con Francesco Berto

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Paola Scalari
è psicologa, psicoterapeuta, psicosocioanalista, docente in Psicoterapia della coppia e della famiglia alla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia della COIRAG e di Teoria e tecnica del gruppo operativo in ARIELE psicoterapia. Docente Scuola Genitori Impresa famiglia Confartigianato.
Socia di ARIELE Associazione Italiana di Psicosocioanalisi. E’ consulente, docente, formatore e supervisore di gruppi ed équipe per enti e istituzioni dei settori sanitario, sociale, educativo e scolastico.
Cura per Armando la collana Intrecci e per la meridiana la collana Premesse… per il cambiamento sociale, ed è consulente delle riviste Animazione sociale del gruppo Abele, Conflitti del CPPP, Io e il mio Bambino, Sfera-Rizzoli group.
Nel 1988 ha fondato i "Centri età evolutiva" del Comune di Venezia per sostenere la famiglia nel suo compito di far crescere i figli e si è occupata della progettualità del servizio Infanzia Adolescenza della città di Venezia.
Insieme a Francesco Berto ha recentemente pubblicato per le edizioni La Meridiana: "Adesso basta! Ascoltami. Educare i ragazzi al rispetto delle regole." (2004), "Fuggiaschi. Adolescenti tra i banchi di scuola." (2005), "Fili spezzati. Aiutare genitori in crisi, separati e divorziati." (2006), "ConTatto. La consulenza educativa ai genitori." (2008), "Padri che amano troppo." (2009), "Mal d'amore. Relazioni familiari tra confusioni sentimentali e criticità educative." (2011), "A scuola con le emozioni - Un nuovo dialogo educativo" (2012), "Il codice psicosocioeducativo" (2013), "Parola di Bambino. Il mondo visto con i suoi occhi." (2013).

Educare è insegnare ad avere fiducia nel mondo che verrà, a investire positivamente le proprie capacità, a sognare e faticare per realizzare le proprie speranze di vita. Una scuola attiva, formativa, lo sa.
La scuola attiva e formativa è la scuola che tutti noi vorremmo avere per i nostri bambini e ragazzi ma sembra essere lontano anni luce da quello che incontriamo quotidianamente. Prevale una lamentazione diffusa: insegnanti che si lamentano della famiglia dei propri alunni, genitori che difendono tout court i figli e non sembrano comprendere la necessità di un apprendimento basato su aspetti cognitivi, cooperativi ed emotivi. Si trova tanta demotivazione e ancor più rassegnazione, al punto da creare una sorta di imprinting alla rassegnazione anche nei bambini.
Questo libro, curato da Paola Scalari e scritto da insegnanti, pedagogisti, psicologi ed educatori ha il compito da un lato di fare una fotografia critica del presente, dall'altro di proporre buone pratiche per una scuola dell'oggi e del domani. Le buone pratiche sono basate su teorie consolidate ma non ancora applicate in maniera sistematica e consapevole: Bauleo, Pagliarani, Bleger, Freinet, Milani e, per citare il mondo attuale, Canevaro e Demetrio.
Si tratta di pratiche che tengono conto della possibilità di costruire una scuola che aiuti a pensare, dialogare, dar forma. Una scuola basata sull'ascolto, su modalità cooperative, dove bambini e ragazzi possano sentirsi liberi di esprimersi ma anche di prendersi responsabilità in base alle loro competenze. Una scuola che sa mettersi in relazione con i bambini e che sa creare basi per una coesione tra adulti che condividono l'educazione dei figli e degli allievi.
A scuola con le emozioni è rivolo agli insegnanti e ai genitori, ma anche a educatori e psicologi. Com'è il mondo visto con gli occhi del bambino? E' una domanda a cui dovrebbero saper rispondere soprattutto gli educatori dei bambini (oltre che i genitori, auspicabilmente), le maestre e i maestri di vari livelli, coloro che sono impegnati a far crescere i piccoli, ad indicare loro la strada per diventare adulti, per imparare a vivere. Una bella risposta alla domanda è contenuta nel libro "Parola di bambino" scritto da Paola Scalari e Francesco Berto, edizioni la meridiana (premesse... per il cambiamento sociale). La collana, per altro, è curata dalla stessa Paola Scalari che venerdì 14 alle 18 sarà alla libreria Einaudi di Trento in piazza della Mostra.

"Il conflitto che i bambini esprimono con le loro paure richiede l'amore di tutta la nostra intelligenza", scriveva lo psicanalista Luigi Pagliarani negli anni Novanta. Fondatore e presidente di ARIELE (Associazione Italiana di Psicosocioanalisi), Pagliarani, ha lasciato una profonda traccia del suo pensiero tanto che, molti dei suoi, allievi, ora psicanalisti e psicoterapeuti, hanno costituito la Fondazione a lui dedicata (www.luigipagliarani.ch). Fra questi Carla Weber che, venerdì 14, sarà in conversazione con Paola Scalari, co-autrice del libro. Suddiviso in quattro parti, "Alfabetizzazione sentimentale" la prima, "Chiamale emozioni" la seconda, "Il legame familiare" la terza e "Immagini spontanee, volare in alto" la quarta, "Parola di bimbo" non racconta, evoca, "mobilita cioè, poeticamente, la condizione di figlio che è l'elemento unificante l'umanità". Per gli studiosi che fanno riferimento a Luigi Pagliarani, gli autori del libro e coloro che fanno parte dell' associazione "Ariele", oltrecché della Fondazione, "la possibilità di ogni bambino di costruire un buon legame con sé stesso e con il mondo esterno va iscritta nei rapporti tra genitori, nei vincoli tra famiglie, nel tessuto vitale di un territorio, nell'attenzione creativa del mondo scolastico e nelle buone offerte del tempo libero". Sostengono gli autori del libro che "un adulto significativo nella crescita dei minori sa rimanere in contatto con la parte piccola, sensibile, fragile, incompiuta di se stesso". Solo così è possibile riconoscere ed identificarsi con le fatiche emotive dei bambini e aiutare il piccolo a "mettere in parole le emozioni". Non un percorso facile perché presuppone, da parte dell'adulto, la capacità di instaurare un livello comunicativo fra sé e il piccolo, visibile e invisibile, fra la mente di chi è già formato e la psiche di chi deve ancora formarsi. Una sfida bella, premessa necessaria per un mondo umano più equilibrato e meno sofferente. Il libro è il risultato di una ricerca sul campo fatta con i bambini e, nelle pagine sono contenute anche le loro osservazioni, le riflessioni su alcune questioni poste dall'educatore. Una postfazione di Luigi Pagliarani contribuisce a centrare ancor più il tema perché i due verbi da coniugare in ambito educativo sono "allevare e generare. Il grande - che sa ed ha - con l'allevare dà al piccolo quel che non sa e non ha. Qui c'è una differenza di statura. Nel generare questa differenza sparisce. Tutti contribuiscono a mettere al mondo, a far nascere quel che prima non c'era...". Un libro utile a educatori, genitori e adulti che vogliano rapportarsi con successo con i piccoli.