A cura di Laura d'Orsi, giornalista.
E' arrivato nascosto dentro a un trolley al porto di Venezia. Il piccolo afgano di cinque anni, di cui parlano le cronache in questi giorni, è stato imbarcato clandestinamente, forse dai parenti, nella speranza di regalargli un futuro in Europa o, come dice il suo accompagnatore, di ricongiungerlo alla sua famiglia già migrata in Germania.
E' diventato così il simbolo di una emigrazione disperata, che arriva a tutto pur di scampare a un destino certo fatto di guerra e lotta per la sopravvivenza. Ma soprattutto, è l'emblema di una infanzia sradicata che deve subire privazioni, violenze, strappi dolorosi e ferite che mai si rimargineranno.
Dottoressa Scalari, quante storie vedete come questa?
Ce ne sono molte. Magari di minori meno piccini, ma continuamente arrivano dei ragazzi che affrontano da soli questi viaggi della speranza. In genere lo scopo è avere un'opportunità di vita migliore e magari ricongiungersi a conoscenti che si trovano già nel paese di destinazione. Ma le cose non vanno sempre nel verso giusto.
Qual è il destino di questi bambini?
Purtroppo spesso finiscono nelle maglie della tratta dei minori, subiscono violenze, patiscono deprivazioni che li fanno soccombere. A volte non riescono nemmeno ad arrivare alla fine del viaggio, finiti dagli stenti. Se arrivano in Italia invece sono affidati ai Servizi Sociali e vengono ospitati nelle comunità di accoglienza o da connazionali già individuati dai genitori o ancora a famiglie affidatarie che si rendono disponibili a dare loro un aiuto. Nel caso del piccolo afghano ora è già in una famiglia veneziana che si occuperà di lui fino a quando si potrà sapere se ha dei parenti che lo aspettano in Germania. Se i bambini arrivano soli, spesso, vengono quindi affidati a delle famiglie o a dei singoli per cercare di ridare loro il calore e l'affetto di cui hanno bisogno. Non sempre è facile, perché non parlano la nostra lingua e hanno un vissuto molto difficile, ma il calore di una casa scioglie tante paure, tante angosce e tanti dolori.
In che modo le istituzioni proteggono i piccoli migranti?
L'Italia applica la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 1989, in cui si stabilisce che deve essere tenuto in conto in modo preminente il superiore interesse dei bambini, senza discriminazioni. Di questo si occupa il Tribunale dei minori, che nomina un tutore affinchè siano salvaguardati i loro diritti, tra cui quello alla protezione, alla salute, all'istruzione, all'unità familiare, alla tutela dallo sfruttamento. Questo vale fino a quando il minore non compie i 18 anni. Poi può rimanere nel nostro Paese solo se ha trovato un lavoro e, si sa, non è facile. Il rischio è che il ragazzo passi ad una vita da irregolare.
Dal punto di vista psicologico, i piccoli migranti come affrontano queste difficoltà?
Per la maggior parte sono bambini resilienti, con una forza d'animo incredibile. Hanno lo sguardo da adulti e il sorriso da piccoli. Poi, piano piano, con il tempo, iniziano a vivere, a fidarsi, a raccontare la loro epopea. Ci sono anche molte storie a lieto fine, ragazzi che sono riusciti a costruirsi un'esistenza serena e a mettere radici qui. Spesso perché hanno incontrato degli adulti capaci di farli sentire accolti. Certo, quello che hanno passato non lo dimenticheranno mai. Per questo il piccolo arrivato in valigia ci deve porre uno sguardo su questi minori non accompagnati che arrivano da lontano al fine di renderci disponibili ad accoglierli con comprensione e disponibilità. Aprire una porta non è poi così difficile!
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