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Commenti

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La storia
Una famigliola composta da padre, madre e due figlie, Giovanna di tre anni e Beatrice di tre mesi, si sta preparando per andare a trascorrere un week-end in campagna a casa di parenti. Giovanna, tutta eccitata perchè i genitori le hanno prefigurato che nel pollaio ci sono diverse covate di pulcini, che nella stalla è appena nato un vitellino e che rinchiusi in un recinto ci sono dei coniglietti bianchi, non vede l'ora di partire. E' già pronta da un bel po' di tempo e, con il suo amico peluche tra le braccia, segue con curiosità ed interesse il papà che sta caricando l'automobile.
"E' mai possibile che ogni volta che ci rechiamo in un posto dobbiamo portarci dietro mezza casa? Dove la metto tutta questa roba? Io ho un'auto non un camion! lo sente lamentarsi mentre, sfiduciato, osserva il mucchio di bagagli che deve ancora caricare.
Poi lo vede che si guarda attorno come se cercasse una soluzione e le sembra che sia attratto da un cassonetto delle immondizie. La bimba, in cuor suo, cova immediatamente questa speranza: "Chissà che papi capisca che, se vuole stare tranquillo senza bagagli da caricare, deve buttare via Beatrice e tutte le sue cose!".
Il genitore invece, accortosi che la figlia lo sta osservando, dapprima le dice: "Lo so bene che non vedi l'ora di partire per arrivare prima possibile in campagna!": Poi le promette: "Adesso, con calma, il tuo paparino ci riprova e, siccome è bravo e forte, vedrai che riuscirà a caricare tutto e così potremo finalmente metterci in viaggio! Stai a guardare!"
Giovanna, mortificata, non lo bada. E' tutta intenta a seguire le -cose- della sorella che via via spariscono nel bagagliaio e ad accompagnarle con questo buffo ed incomprensibile gioco di elencazione e di cancellazione (la carrozzella e la cesta di Beatrice, il biberon, il seggiolone e le pappe di Beatri.., i pannolini, le tutine e la copertina di lana di Bea....., i sonaglini e l'orsetto di Be....., il disinfetta biberon e lo sciroppo di B.......) che poi conclude con questa affermazione: "Finalmente siamo tutti tranquilli! Non ci sono più bagagli e non c'è più neanche Beatrice!"
Il padre intanto sta armeggiando con il portellone del bagagliaio. Giovanna gli si avvicina preoccupata e gli consiglia: "Sarebbe bene lo chiudessi anche con la chiave!". "Non aver paura -le risponde il genitore tutto soddisfatto- quello che c'è dentro ormai non può più uscire!". Anche Giovanna è tutta soddisfatta.
La storia però continua..... L'uomo infatti si rivolge alla figlia e le dice: "Corri dalla mamma. Dille che siamo pronti e che porti giù Beatrice così carichiamo anche loro due e partiamo!" Giovanna gli risponde: "Papi, quando mi parli così io non ti capisco. Usi parole troppo difficili per me! Mi fai confusione!" E se ne sta ferma accanto all'auto. La reazione del padre: "Non ti muovere da lì che vado io a chiamare la mamma! Ormai dovrebbe avere già finito di allattare la piccolina" conferma che anche per il genitore le parole della figlia sono troppo difficili da accettare e da capire.
E le conseguenze di queste incomprensioni non si fanno attendere.
La signora arriva con Beatrice in braccio. Si accinge a sederla sul seggiolino sistemato sul sedile davanti accanto a quello del marito, quando Giovanna si intrufola, si aggrappa alle cinghie e grida come un'ossessa: "E' mio, è mio, è mio! Non voglio che ci vada Beatrice!"
La madre tenta di convincerla a lasciare la presa: "Il tuo seggiolino è quello sistemato sul sedile posteriore accanto a me. Questo di Beatrice è vecchio! E poi non vedi che è anche mezzo rotto? Il tuo invece è nuovo!"
La situazione però non cambia. Giovanna, esasperata, continua ostinatamente a rimanere attaccata al suo vecchio seggiolino urlando: "Ti ho detto che questo seggiolino è mio! Come fai a non averlo ancora capito! Sei sorda?" E la mamma, esasperata pure lei, continua caparbiamente nel suo tentativo di convincere la figlia a sedersi dietro urlando a sua volta: "Non vedi che il tuo seggiolino adesso è quello nuovo che sta dietro e che questo vecchio e rotto è di tua sorella! Come fai a non essertene ancora accorta! Sei cieca?"
Il padre, ad un certo punto cambia strategia e cerca di sedurre la figlia ricordandole: "Sono le bimbe appena nate che si siedono davanti, tu invece sei grande, sei una signorina! Il tuo posto è quello dietro, accanto alla mamma!" Ma Giovanna, sempre attaccata alle cinghie del suo vecchio seggiolino, piange ripetendo fino alla noia le stesse parole: "Perchè non mi capite? Il seggiolino davanti è mio, è mio, è mio!"
La situazione rimane bloccata ed il tempo, intanto, passa..
Il capofamiglia si fa carico di farlo notare a tutti ed infatti afferma: "Se vogliamo arrivare per il pranzo dobbiamo sbrigarci a partire! Siamo già in ritardo!" e trova così proprio nel ritardo la motivazione per ricorrere alla forza e risolvere l'impasse. Ci mette infatti un attimo a staccare Giovanna dal seggiolino. Ma non ha nemmeno il tempo di tirare un sospiro di sollievo perchè impreca: "Quando mia figlia mi fa incazzare così tanto non riesco ad essere calmo e a dosare le forze! Assieme a Giovanna ho staccato dal seggiolino anche le cinghie. Adesso è di Beatrice, ma è inservibile! La rabbia mi ha fatto combinare proprio un bel guaio! La gita in campagna è andata in fumo!"
Nessuno si muove. Anche Giovanna smette di piangere
L'uomo, credendo di non essere stato compreso, rispiega le conseguenze di quanto aveva combinato e, alzando la voce, racconta: "E' pericoloso viaggiare senza aver assicurato le bimbe al loro seggiolino, quindi non si va da nessuna parte!"
Nessuno fiata. Tutti sono impegnati a sentire e a capire se stessi.
La moglie, avvilita, sta pensando : " Sento che questa casa diventerà a poco a poco la mia prigione!"
Giovanna, terrorizzata, sta presagendo: "Sento che mamma e papà non mi vorranno più come figlia perchè si sono accorti che stanno bene solo con Beatrice!"
Il padre, deluso, sta rimuginando: "Sento che è impossibile controllare la rabbia quando ti trovi di fronte ad una figlia che si ostina a non capirti!"
Ed infine Beatrice , immersa in questo clima di incomprensioni, percepisce il dolore di tutti e cerca di comunicarlo così come è capace. E si mette a piangere.
"Adesso non metterti anche tu a farmi arrabbiare!" è la risposta del genitore alle sue lacrime!

L'indagine
Le madri ed i padri che decidono di mettere al mondo un altro bambino sono ben informati e consapevoli degli atteggiamenti di gelosia, rivalità ed insofferenza che il nuovo arrivato provoca nel figlio più grande e, di conseguenza, si prodigano per prefigurare l'evento al bambino che hanno già in modo da rassicurarlo che non ci sarà nessun cambiamento. Vediamo infatti mamme e papà adoperarsi quotidianamente per coinvolgerlo nei preparativi che precedono la nascita del fratellino nel tentativo di farlo sentire -grande ed importante- e di evitargli così la paura di essere messo da parte dal nuovo arrivato. Sono tutte attenzioni, precauzioni e premure che non garantiscono tuttavia il risultato.
Ogni figlio maggiore, infatti, alla nascita del fratello o della sorella, invia segnali d'inquietudine mostrando, ad esempio, atteggiamenti immaturi per la sua età, oppure esprimendo la sua sofferenza attraverso strane ed improvvise malattie, od ancora accentuando momenti di intolleranza con ripetuti capricci.
Se madri e padri vogliono cercare il significato di queste comunicazioni ed indagare cosa sta succedendo in famiglia si trovano nella necessità di dover spostare la loro attenzione dalla relazione che i figli hanno tra di loro alla relazione che essi stessi hanno con i figli.
Quando infatti la nascita di un nuovo bimbo provoca dolore, rabbia, disperazione, affanni nel figlio maggiore, occorre che i genitori -leggano- questi suoi sentimenti non tanto come espressione di un suo disagio che riguarda il rifiuto del fratellino quanto invece come richiesta di una rassicurazione che riguarda il suo bisogno di non sentirsi rifiutato da mamma e papà.
Il figlio grande cioè non reagisce a quello che sta succedendo in casa quanto invece a quello che sta accadendo dentro al suo cuore. Ed il suo animo è ricolmo del timore che mamma lo metta da parte perché il fratellino o la sorellina sono più amabili di lui.
Ecco allora che il bambino di fronte alla madre che attacca il neonato al seno per nutrirlo, che lo accarezza per consolarlo, che dà voce e parola al suo pianto per capirlo, che lo tiene tra le braccia per accontentarlo interpreta questi inevitabili gesti come delle vere e proprie espropriazioni, ingiustizie, negazioni, svalutazioni messe in atto dalla madre nei suoi confronti. E la mamma, che prima era vissuta come la sua sicura -innamorata-, è vista adesso come una traditrice. E il figlio la tradisce a sua volta cercando di appropriarsi completamente del papà ed escludendo la madre ed il fratellino dalla loro relazione.
Piccoli gesti di papà, come il dormire insieme al figlio maggiore una notte in cui il neonato occupa il lettone coniugale, il dedicarsi a giocare di più con il figlio mentre la moglie si trova alle prese con le necessità dell'ultimo nato, il surplus di attenzioni donategli per alleviare la già attesa gelosia, divengono per questo figlio espressioni a conferma che il papà è tutto suo. Ed ogni disillusione in tal senso non solo diventerà maggiormente dura da sopportare, ma anche scaverà dentro al bambino una ferita sempre più difficile da sanare.
E' così che mamma e papà possono scoprire che il figlio prova gelosia non tanto per il fratellino quanto invece per il desiderio di esclusività nel rapporto con i genitori o perlomeno con uno di loro!

La scoperta
Mamma e papà, una volta compreso che il problema non sta solo nella relazione tra i fratelli, ma nel clima familiare che tutti assieme stanno vivendo, possono osservare quali siano i loro sentimenti in questo periodo. Prima di tutto possono cercare di capire se piccole azioni o autentiche sensazioni hanno aperto uno spiraglio nel quale il figlio può fantasticare di mettersi in mezzo alla coppia coniugale. Ogni pertugio fatto di dissapori o di lontananze affettive tra mamma e papà rappresenta infatti una crepa nella quale il bambino non tarda ad inserire il suo desiderio di poter occupare, nei confronti di un genitore, il posto occupato dall'altro genitore. Il collocarsi del bambino come -compagno- preferito del genitore divide la famiglia in due parti nettamente separate e schierate. Da una parte stanno coloro che sono i preferiti dal padre e dall'altra coloro che sono i prediletti dalla madre. La fantasia di contribuire alla rottura dell'unità della coppia coniugale, il desiderio di poter divenire il figlio privilegiato per un genitore, il bisogno di poter essere un partner per il proprio genitore, sono dunque alla base della gelosia di ogni bambino. E se queste immaginazioni vengono alimentate dall'ambiente familiare, anche con superficiali frasi scherzose come " Tu e papà sembrate una coppia di sposetti adesso che mamma se ne sta all'ospedale"; se mamma e papà si rendono complici di tali impulsi, anche con innocenti affermazioni quali "Io e te adesso stiamo assieme e lasciamo questi altri due alle loro faccende", si vota il figlio ad incastrasi nell'illusoria fantasia di poter rivestire una posizione -speciale- nei confronti di un genitore.
Ecco allora che madre e padre si trovano nella necessità di deludere il figlio rimettendolo nella sua posizione di bambino impedendogli ripetutamente di occupare la posizione di grande. Se questa posizione la si è alimentata nei confronti del fratello non la si deve allora concedere nei confronti dei genitori. Ogni confusione in tal senso è davvero pericolosa per la sua crescita! Essi recano così dolore, sofferenza e frustrazione al bimbo, ma anche cominciano ad aiutarlo a rinunciare alle sue grandiose fantasie di divenire magicamente il grande che non è.
Il figlio intanto si oppone con tutte le sue forze e con sottili strategie a tutto questo. Ed ogni sforzo di madri e padri in questa direzione sarà da loro pagato. Spesso il prezzo di questo pedaggio mamma e papà lo osservano attraverso il modo che il figlio più grande ha di denigrare il fratellino, attraverso il suo disinteresse per il piccino, attraverso i suoi gesti un po' sadici nei suoi confronti. Certo per il figlio è più facile spadroneggiare divenendo prepotente, intollerante e scontroso con il fratellino, che è piccolo e debole, che misurarsi direttamente con il genitore, che è invece davvero grande e forte. E poi come rivoltarsi verso il genitore se è proprio da lui che si vuole la totale ammirazione? Con il neonato il bimbo può continuare a fantasticare di vincere con il genitore teme troppo di perdere. In ogni caso però dovrà perdere, cioè dovrà rinunciare ai suoi desideri sia di essere l'unico figlio speciale per i genitori sia di essere un figlio speciale per un genitore. E mamma e papà dovranno accompagnarlo in questa rinuncia, costi quel che costi!

Il suggerimento
Mamma e papà preparano il figlio maggiore alla nascita di un fratellino condividendo con lui attese e preparativi. Sono momenti caratterizzati da sentimenti di gioia e da vissuti ricolmi di piacere. Il fermento in casa è palpabile, Si prepara insieme il corredino, si colloca, su sua indicazione, la culla in un angolo della cameretta, si condivide e prefigura per tempo la sua permanenza durante il parto presso parenti o amici. I genitori però tengano conto che il bambino non si rende conto di quanto succederà e pertanto, al suo stesso desiderio di avere un fratello, al suo esprimere felicità nella preparazione delle cose per lui, alla sua eccitazione per l'imminente nascita, non corrisponde ciò che si possono aspettare dopo che il nuovo nato sarà arrivato.
Dopo la nascita di un altro bambino, infatti, li attende una lungo periodo nel quale accompagnare il figlio maggiore ad occupare il suo posto lasciando ad ogni altro componente della famiglia il suo spazio. Egli deve perciò rinunciare ad occupare tutto il posto disponibile negli affetti dei genitori. E questa è un'impresa difficile che ogni bambino può intraprendere solo se sorretto da parte di mamma e papà attraverso un'autentica compartecipazione, empatia, comprensione del dolore che egli prova.
E' quindi utile che i genitori non condannino i sentimenti che il bambino va esprimendo e ancor meno li disprezzino o peggio ancora li prendano in giro beffardamente. Anzi può divenire pericolosa per la soluzione del conflitto ogni affermazione che cerca di negarli, ricacciarli, sminuirli. Frasi come :"Devi voler bene al fratellino", "Questo bambino mamma lo ha fatto per accontentarti ed adesso tu neanche lo guardi", "Con i fratelli non si litiga mai", possono indurre il figlio a credere che deve vergognarsi di ciò che prova. Egli allora seppellirà i suoi sentimenti. E così facendo nasconderà una parte di sé che, a questo punto, mamma e papà non potranno non solo più vedere, ma anche non potranno più aiutare ad evolvere.
Madri e padri allora possono pacatamente ascoltare queste rimostranze del figlio, accettare profondamente la fatica che egli fa a provare sentimenti di amorevolezza in un momento in cui rabbia e dolore lo attraversano ed aspettare fiduciosi che il figlio superi queste frustrazioni grazie proprio al loro rimanere saldamente fermi nella loro posizione di coppia genitoriale.


In collaborazione con Francesco Berto

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Paola Scalari
è psicologa, psicoterapeuta, psicosocioanalista, docente in Psicoterapia della coppia e della famiglia alla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia della COIRAG e di Teoria e tecnica del gruppo operativo in ARIELE psicoterapia. Docente Scuola Genitori Impresa famiglia Confartigianato.
Socia di ARIELE Associazione Italiana di Psicosocioanalisi. E’ consulente, docente, formatore e supervisore di gruppi ed équipe per enti e istituzioni dei settori sanitario, sociale, educativo e scolastico.
Cura per Armando la collana Intrecci e per la meridiana la collana Premesse… per il cambiamento sociale, ed è consulente delle riviste Animazione sociale del gruppo Abele, Conflitti del CPPP, Io e il mio Bambino, Sfera-Rizzoli group.
Nel 1988 ha fondato i "Centri età evolutiva" del Comune di Venezia per sostenere la famiglia nel suo compito di far crescere i figli e si è occupata della progettualità del servizio Infanzia Adolescenza della città di Venezia.
Insieme a Francesco Berto ha recentemente pubblicato per le edizioni La Meridiana: "Adesso basta! Ascoltami. Educare i ragazzi al rispetto delle regole." (2004), "Fuggiaschi. Adolescenti tra i banchi di scuola." (2005), "Fili spezzati. Aiutare genitori in crisi, separati e divorziati." (2006), "ConTatto. La consulenza educativa ai genitori." (2008), "Padri che amano troppo." (2009), "Mal d'amore. Relazioni familiari tra confusioni sentimentali e criticità educative." (2011), "A scuola con le emozioni - Un nuovo dialogo educativo" (2012), "Il codice psicosocioeducativo" (2013), "Parola di Bambino. Il mondo visto con i suoi occhi." (2013).

Educare è insegnare ad avere fiducia nel mondo che verrà, a investire positivamente le proprie capacità, a sognare e faticare per realizzare le proprie speranze di vita. Una scuola attiva, formativa, lo sa.
La scuola attiva e formativa è la scuola che tutti noi vorremmo avere per i nostri bambini e ragazzi ma sembra essere lontano anni luce da quello che incontriamo quotidianamente. Prevale una lamentazione diffusa: insegnanti che si lamentano della famiglia dei propri alunni, genitori che difendono tout court i figli e non sembrano comprendere la necessità di un apprendimento basato su aspetti cognitivi, cooperativi ed emotivi. Si trova tanta demotivazione e ancor più rassegnazione, al punto da creare una sorta di imprinting alla rassegnazione anche nei bambini.
Questo libro, curato da Paola Scalari e scritto da insegnanti, pedagogisti, psicologi ed educatori ha il compito da un lato di fare una fotografia critica del presente, dall'altro di proporre buone pratiche per una scuola dell'oggi e del domani. Le buone pratiche sono basate su teorie consolidate ma non ancora applicate in maniera sistematica e consapevole: Bauleo, Pagliarani, Bleger, Freinet, Milani e, per citare il mondo attuale, Canevaro e Demetrio.
Si tratta di pratiche che tengono conto della possibilità di costruire una scuola che aiuti a pensare, dialogare, dar forma. Una scuola basata sull'ascolto, su modalità cooperative, dove bambini e ragazzi possano sentirsi liberi di esprimersi ma anche di prendersi responsabilità in base alle loro competenze. Una scuola che sa mettersi in relazione con i bambini e che sa creare basi per una coesione tra adulti che condividono l'educazione dei figli e degli allievi.
A scuola con le emozioni è rivolo agli insegnanti e ai genitori, ma anche a educatori e psicologi. Com'è il mondo visto con gli occhi del bambino? E' una domanda a cui dovrebbero saper rispondere soprattutto gli educatori dei bambini (oltre che i genitori, auspicabilmente), le maestre e i maestri di vari livelli, coloro che sono impegnati a far crescere i piccoli, ad indicare loro la strada per diventare adulti, per imparare a vivere. Una bella risposta alla domanda è contenuta nel libro "Parola di bambino" scritto da Paola Scalari e Francesco Berto, edizioni la meridiana (premesse... per il cambiamento sociale). La collana, per altro, è curata dalla stessa Paola Scalari che venerdì 14 alle 18 sarà alla libreria Einaudi di Trento in piazza della Mostra.

"Il conflitto che i bambini esprimono con le loro paure richiede l'amore di tutta la nostra intelligenza", scriveva lo psicanalista Luigi Pagliarani negli anni Novanta. Fondatore e presidente di ARIELE (Associazione Italiana di Psicosocioanalisi), Pagliarani, ha lasciato una profonda traccia del suo pensiero tanto che, molti dei suoi, allievi, ora psicanalisti e psicoterapeuti, hanno costituito la Fondazione a lui dedicata (www.luigipagliarani.ch). Fra questi Carla Weber che, venerdì 14, sarà in conversazione con Paola Scalari, co-autrice del libro. Suddiviso in quattro parti, "Alfabetizzazione sentimentale" la prima, "Chiamale emozioni" la seconda, "Il legame familiare" la terza e "Immagini spontanee, volare in alto" la quarta, "Parola di bimbo" non racconta, evoca, "mobilita cioè, poeticamente, la condizione di figlio che è l'elemento unificante l'umanità". Per gli studiosi che fanno riferimento a Luigi Pagliarani, gli autori del libro e coloro che fanno parte dell' associazione "Ariele", oltrecché della Fondazione, "la possibilità di ogni bambino di costruire un buon legame con sé stesso e con il mondo esterno va iscritta nei rapporti tra genitori, nei vincoli tra famiglie, nel tessuto vitale di un territorio, nell'attenzione creativa del mondo scolastico e nelle buone offerte del tempo libero". Sostengono gli autori del libro che "un adulto significativo nella crescita dei minori sa rimanere in contatto con la parte piccola, sensibile, fragile, incompiuta di se stesso". Solo così è possibile riconoscere ed identificarsi con le fatiche emotive dei bambini e aiutare il piccolo a "mettere in parole le emozioni". Non un percorso facile perché presuppone, da parte dell'adulto, la capacità di instaurare un livello comunicativo fra sé e il piccolo, visibile e invisibile, fra la mente di chi è già formato e la psiche di chi deve ancora formarsi. Una sfida bella, premessa necessaria per un mondo umano più equilibrato e meno sofferente. Il libro è il risultato di una ricerca sul campo fatta con i bambini e, nelle pagine sono contenute anche le loro osservazioni, le riflessioni su alcune questioni poste dall'educatore. Una postfazione di Luigi Pagliarani contribuisce a centrare ancor più il tema perché i due verbi da coniugare in ambito educativo sono "allevare e generare. Il grande - che sa ed ha - con l'allevare dà al piccolo quel che non sa e non ha. Qui c'è una differenza di statura. Nel generare questa differenza sparisce. Tutti contribuiscono a mettere al mondo, a far nascere quel che prima non c'era...". Un libro utile a educatori, genitori e adulti che vogliano rapportarsi con successo con i piccoli.