Intervento pubblicato nel Libro
di Paola Scalari
Operare nell'ambito dell'affido e della solidarietà familiare significa tenere a mente più contesti e questo comporta avere una conoscenza della dinamica intergruppale e intragruppale. Proprio per questo ogni professionista che si occupa delle famiglie affidatarie avverte l'utilità di poter sviluppare la conoscenza delle vicissitudini emotive che attraversano sia il processo collettivo sia le strutture vincolari che collegano più gruppi. La supervisione-formazione è quindi fondamentale che avvenga in un gruppo coordinato da un esperto che sappia integrare il sapere sull'affido familiare, quale espressione di una genitorialità sociale, con il sapere sulle dinamiche dei gruppi, quale conoscenza dei meccanismi interpersonali.
Nel Servizio Politiche Cittadine per l’Infanzia e l’Adolescenza della città di Venezia - nel febbraio 2007 - si dà avvio al gruppo di ricerca sull’affido familiare di minori provenienti o da genitori trascuranti o da genitori stranieri non espatriati. Il mandato che mi viene assegnato è quello di far emergere i contenuti di pensiero messi in moto dalla realizzazione di due progetti. Uno, finanziato dalla Regione, per l’affido familiare. L’altro, finanziato invece dal Ministero, per l’accoglienza presso famiglie di connazionali dei minori stranieri che arrivano in città senza genitori. Si pensa di poter osservare quanto affiora durante la realizzazione dei programmi di lavoro messi in atto non solo per promuovere delle innovative azioni, ma anche per far nascere delle inedite idee sulla solidarietà interculturale, sullo sviluppo delle prassi che rendono efficace un affido familiare e sugli stili educativi che lo sostengono. Con la ricerca sull’affido si vogliono allora integrare tutte le azioni messe in campo attraverso i due nuovi progetti e si spera anche di garantire l’approfondimento del fenomeno dell’accoglienza di un bambino o di un ragazzo nella casa di una famiglia a lui estranea.
"Ma ti piace davvero studiare?"
Mattia annuì.
"E perché?"
"E' l'unica cosa che so fare" disse lui piano. Avrebbe voluto dirle che studiare gli piaceva perché puoi farlo da solo, perché tutte le cose che studi sono già morte, fredde e masticate. Avrebbe voluto dirle che le pagine dei libri di scuola hanno tutte la stessa temperatura..." (Paolo Giordano, La solitudine dei numeri primi, Mondatori, 2008 pag.91)
Il piccolo Tommi ha iniziato da pochi giorni la scuola elementare. Prova quindi il primo grembiule bianco, si issa il primo zainetto pesante, vive il primo appello in classe, incontra il primo compagno di banco e gli viene assegnato il primo esercizio da eseguire a casa.
Confrontarsi con gli educatori è sempre arricchente perché obbliga il formatore a decentrarsi e a guardare il mondo da punti di vista diversi. Qualche volta si incontrano degli operatori dallo sguardo rassegnato e qualche altra volta ingenuamente entusiasta; alle volte si intercetta un pensiero rigido e altre volte rigoroso; sempre però si smuove un indagare attento e curioso.
Ogni educatore racconta di sé mentre narra delle sue esperienze al lavoro poiché ciascuno, discutendo della sua relazione con i ragazzi, rievoca anche se stesso. La parte affascinante e gratificante del lavoro di formazione consiste allora nel conoscere tanti esseri umani con i loro dubbi e le loro domande, le loro convinzioni e le loro opinioni.
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